ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

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martedì 21 luglio 2009

Verso Milano

Sul treno per Milano non c’era posto a sedere e ho passato tutto il viaggio in piedi o seduta sul seggiolino in corridoio con l’incombenza puntuale di allungare e ritirare le gambe al passaggio di qualsiasi passante e di alzarmi in piedi al passaggio del carrello delle vivande. Quando non ero impegnata in questi esercizi di educata convivenza ho letto un romanzo. Una storia d’amore dove una lei sfigatissima è abbandonata da un lui bastardo per una stronza con i fiocchi e questa soffre finché non rincontra il suo primo amore del liceo che è diventato ricco e bellissimo e che senza un attimo di indecisione molla la sua fidanzata modella isterica e si innamora di lei, della sfigatissima. E vivono felici e contenti, tutto grazie a facebook.
Io sto andando a Milano per un colloquio, mediaset seleziona giovani laureati per un corso da autore televisivo e io nella vita non ho mai voluto davvero far altro. Anzi vorrei fare tante cose, praticamente tutti i mestieri mi affascinano per qualche verso ma l’autore è sempre stato per me una figura affascinante e misteriosa. E’ colui che crea ma che non c’è. E’ il creatore del successo che non ne è investito. E’ la figura indispensabile nell’ombra. E’ il nome dei titoli di coda. Il grazie a che nessuno conosce di persona. E’ il demiurgo ed io ho sempre voluto esserlo.
Mentre leggo il romanzo e passo le stazioni di Voghera, Pavia e Rogoredo però la mia mente non pensa al colloquio, al sogno e al demiurgo, la mia mente è come fosse sicura e tranquilla, non è in ansia per quello che sta andando a fare. La mia mente pensa a Claudio. Claudio è il mio vecchio fidanzato, dico vecchio perché non sopporto il prefisso ex. Ex in latino vuol dire fuori, ed è proprio il contrario di quello che Claudio è adesso per me. Lui non è più fuori, se fosse fuori lo vedrei invece non lo vedo, non lo incontro, non lo cerco neanche più. Claudio continua a essere dentro di me. Sento che c’è quando mi sveglio, quando leggo qualcosa che mi piace, quando scrivo, quando ballo, quando mangio, quando vado a Milano per un colloquio importante lui è li con me al centro dei miei pensieri. E non riesce a uscire. E’ il Minotauro nel labirinto dei miei sentimenti e sbrana tutti i ragazzi che provano a entrarvi.
Mentre leggo la storia della ragazza sfigatissima mi immedesimo e penso che anche io ho “conosciuto” qualcuno interessante su facebook che vagamente e per pochi istanti mi ha fatto provare qualcosa di “simile” a quell’emozione indescrivibile che era Claudio. Solo che la vita è leggermente diversa dalla finzione e il mio ragazzo sconosciuto è sparito. Chiuso, cancellato dal social net-work senza nemmeno salutare. Questo pensiero mi fa salire la tristezza come il singhiozzo, all’improvviso.
Se Claudio mi parlasse lo renderei partecipe delle mie occasioni di quello che faccio per la mia professione, che ho ancora voglia di vivere. Che mi sento una persona migliore di quella che ha lasciato lui. Una che fa le cose che voleva fare da piccola, una che gli altri stimano, una che ha classe. Lui mi ricorda come una che perde il lavoro, che si distrae parecchio, che mangia schifezze e non va in palestra e che non sa fare un discorso serio. Una che non mai d’accordo con lui, mai dalla sua parte. Quando stavamo insieme si parlava di cosa sarebbe successo se ci fossimo lasciati, lui era sicuro che saremmo rimasti amici, che lui era sicuro di voler diventare un mio amico e che le storie iniziano e che inevitabilmente finiscono e che si diventa amici. Mi ha sempre sorpreso da parte sua questa visione finalistica dell’amore: Le storie inevitabilmente finiscono.
Come inevitabilmente? Come mai ne sei tanto sicuro? In un film si diceva che se ami qualcuno non arriva mai il momento di dire basta è finita. Le storie magari finiscono ma l’amore non può.
Come si fa a chiamare dieci volte una persona in un giorno e nel giro di due ore decidere di non chiamarla mai più? Come si fa a chiamare venti volte la ragazza che ha scordato a casa il cellulare e preoccuparsi per lei e poi decidere di non avere più niente da fare con lei.
Spesso vorrei chiamarlo, Claudio, ma ormai ho paura di non sapere cosa dirgli. Sono passati sette mesi, ho tolto dagli scaffali le sue foto, dagli armadi la sua roba, dai documenti del cane il suo cognome ma ancora dal mio cuore sebbene tenti di pulirlo lui traspare.
Il treno è arrivato in stazione centrale, non fa nemmeno tanto caldo per essere una fine luglio milanese, ho un’ora per mangiare e raggiungere il luogo dell’appuntamento. In effetti potevo dare appuntamento ad un ragazzo di Milano che ogni tanto mi scrive su Facebook, ma mi viene in mente solo ora e ormai è tardi. Magari oggi la mia vita svolta a mio favore.

giovedì 16 luglio 2009

I bimbi non fanno pipì in piscina

Se c'è una cosa che facevo appena entrata in piscina da bambina era fare la pipì. Non importava che ci fossero i cartelli co scritto quanto ciò fosse vietato, non importavano gli ammonimenti di mamma o istruttori di nuoto. Io la pipì la facevo in acqua e con me tutti i miei amici. E ridevamo, e parlavamo di correnti calde e lanciavamo allarmi ma nessuno usava mai i bagni della piscina. E la stessa cosa al mare. Non che fosse igienico, non che fosse educato ma era così. Una consuetudine.
Forse, un modo acerbo e inconsapevole di contavvenire alle "regole". Non si può fare ma non fa male, quindi lo faccio. Fanculo la maestra!
Nessuno dei bambini del campo solare dopo faccio l'educatrice fa la pipì in piscina. Nemmeno in mare. Quando viene lo stimolo chiedono il permesso di uscire e vanno in bagno. Sembrerà una cavolata ma io ci ho riflettuto.
Questi bambini si trovano la giornata organizzata in maniera scientifica, seguono continuamente regole e orari, l'unico momento in cui potrebbero "liberarsi" sarebbe fare la pipì in piscina. Magari in mare che è più comune. Ma scelgono di seguire la regola. Riflettevo con un mio amico: sarà giusto? Formerà adulti responsabili? O questo nuovo mondo infantile fortemente schematizzato e "follemente" ( tutto gli è organizzato e guidato da un adulto) pianificato che adulti li renderà? Sapranno decidere da loro cosa è giusto o sbagliato fare? O passeranno la loro vita a seguire un orario e aspettare un ordine? Riusciranno mai ad annoiarsi senza sentirsi persi?

lunedì 6 luglio 2009

Campo sole, sviste e rivisti

Oggi è stato il mio primo giorno da educatrice nel campo sole di Albisola marina. Esperienza bella, intensa. Io non mi occupo del gruppo, assisto una bambina diversamente abile (se per essere politicamente corretti è corretto dire così). Non so cosa abbia precisamente, del tipo non so il nome della sua malattia se ne ha una, so che ha difficoltà a muoversi, non vede bene e non riesce ad interagire con gli altri. E chi non ha problemi ha interagire con gli altri? Io ho un sacco di problemi anche se sono "dichiarata abile". E da bambina ero anche peggio: ero lenta a correre, non capivo se qualche bambino si era innamorato e quindi non mi "fidanzavo" con nessuno, pattinavo male (negli anni 80/90 usava pattinare, non riuscivo ( enon riesco ancora) a intrecciare i fili per fare gli scoopydoo e altro che ho rimosso.
Con Lara mi trovo bene, e sembra anche lei si trovi bene perchè oggi non si è innervosita e mi ha raccontato un po' della sua vita.
Mentre stavo con lei non pensavo a come sono io, alle mie beghe insomma. Penso sia così essere genitore: non pensi più a te, solo a te come persona unica nel mondo ma metti un altro in prima persona, e gli resti dietro a guardare che lui impari a vivere. Penso sia così avere un figlio.
E mentre pensavo questo e mi sembrava di aver avuto l'illuminazione, di aver capito qualcosa del mistero- vita passa una moto e riconosco il motore come fosse un caro vecchio amico. Era Claudio, e gli occhi mi si sono riempiti di foschia. Non erano lacrime, era umidità, sensazione di lontano, di perso.
"Dobbiamo chiarirci" ho pensato. Poi, con Lara per mano, ho attraversato la strada.

mercoledì 1 luglio 2009

Iran, onda verde, repubblica islamica

In questi giorni l'Iran vede la protesta duramente repressa dei sotenitori di Mousavi, o almeno questo si apprende leggendo i giornali. In realtà quello che sta succedendo in Iran è l'esplosione di una popolazione che vive da anni sotto il controllo strettissimo dello stato. Rivoluzione verde, titolano i giornali, rivoluzione per Mousavi ma si può parlare di rivoluzione davvero se l'intenzione non è sovvertire totalmente un sistema per costruirne uno nuovo e migliore? Qualcuno dei manifestanti iraniani forse parla di emancipazione dello stato dalla religione?O di rivoluzione socialista? A me non sembra. Anche se la stampa ufficiale chiaramente è stata imbavagliata dalle immagini dei blog, dai reportage "rubati" è chiaro che la parola rivoluzione è fuori luogo in questo caso.
Gli scontri, la guerriglia urbana, la manifestazione di dissenso per il governo di Amadinejad è il frutto di una tensione sociale esasperata che ha originato una grande reazione popolare che chiede un po' di respiro.
Non un cambiamento radicale, come esige nella sua etimologia la parola rivoluzione . Gli studenti, le donne e i lavoratori iraniani, credo, chiedano di respirare. Possibilmente senza che lo stato sia informato sul tipo di respiro che stanno esalando. E stabilito questo la parte dove stare è chiara e non devono esistere nè Chavez nè Obama a "comandarci" da che parte stare. La prima libertà è quella di poter e voler pensare. La prima mattonella di quella che dir si voglia democrazia