ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

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domenica 30 dicembre 2007

Nun te regg' più

Prendo spunto da una canzone di Rino Gaetano per farvi gli auguri di Buon Anno, prima di partire per la montagna e non poterveli fare il 31.

Veglioni e feste
nun te regg più
crisi di governo
nun te regg più
Napolitano
nun te regg più
Berlusconi, Veltroni che due coglioni
nun te regg più
le graduatorie
nun te regg più
la moratoria che non cambia un cazzo ma porta aria buona al palazzo
nun te regg più
benigni che legge Dante
nun te regg più
ladri e sequestri sotto le feste
nun te regg più
la sinistra arcobaleno, tutti morrti sotto al treno
nun te regg più
e la coop, il sessantotto, il terrore rosso
nun te regg più!

mercoledì 26 dicembre 2007

D'amore parlando

Per restare in tema dato che è Natale e si dovrebbe parlare d'amore e agire d'amore pure metto un altro racconto, un po' più lungo, che parla di questo: amore
Chissà se anche stavolta qualcuno mi chiederà se è una storia tratta dalla mia vita?

Ferie d’estate


Splendi con la tua pazza luce di diamante
piccolina che ancora non so per quanto
potessi sarebbe un lungo assolo di chitarra
sarà invece il temporale d’una moina a stecchirmi
uguale a quella del bigemino all'angolo
ti distingueranno donna dallo sguardo
ma tu già lo sei
ed investi me
mi insegni d’una sfolgorante tua verginità
che si fa mia nell’attimo in cui mi svesto di fredda porpora sul tuo tappeto
questa è una guerra vera.

Al mattino riprendo con un macchiato caldo; mi ricucio gli
iridi agli occhi e ti guardo crescere dalle lenzuola.
Pazza sciagurata rimetti quel reggiseno! Mi fa orrore ora il tuo
petto nudo e poggio una mano a coprirmi timidamente gli occhi
e a strofinarmeli. Abbottoni la camicia e guardi in basso, non essere
offesa con me, stropicci la lingua sulle labbra e le storci, poi ti
alzi e ti guardi allo specchio grande tutta intera, slip e camicia,
intanto tiri i lembi ai lati degli occhi e scuotendo la testa fai
le smorfie e ridacchi come una scolaretta stupida che ha
appena rubato un lecca-lecca dal cesto grande della maestra.
“Eh eh … cinesina … eh eh” sei al settimo cielo e sembri stupita
che io rida poco e quel poco mi sforzi, sicuramente stai
pensando che non sono ancora pronta, che trasferirmi da te
e neanche ai miei amici e che niente di mio è a conoscenza
di noi due. Non è vero, tu non mi hai estorto niente e questa
è stata una mia scelta, tanto non potevo più stare con Giacomo
per etichetta, non aveva più senso guardare i maschi per
convenzione. Ma anche adesso che ho deciso e ti avrò davanti
al caffè la mattina, ho paura e ho paura d’averne perché nel
nostro caso, amore, aver paura vuol dire ripensarci,
ritornare alla normalità anche quando non ci appartiene.
Anna, sai che ti amo, sai che non sarei mai in grado di
lasciarti e sii libera di prendere questo vincolo come un
limite, ma sai anche tutto il resto e forse ne intuisci un di più
a cui io non sono ancora arrivata. Anna sai che ti sposerei
se ne venisse il tempo e forse è proprio questo che ha da
venire, il tempo per noi perché un nostro bacio fa rabbia sentirselo
sbirciato da qualche estraneo che c’ingabbia nel
fluire rigido dei suoi pensieri e ci castiga.
Ora versa il caffè e lascia sgombro il comodino che ci
appoggio le brioches calde e sto attenta a non sbriciolare.
Devo fare in fretta per l’autobus delle otto e cinque che alle otto
e trenta il computer deve stare acceso e il caporeparto gira gli uffici
a controllare che i numerini verdi lampeggino sul nero dello schermo.
Poi, l’uscita alle cinque e mezza, ciao a tutti e a domani, il traffico delirante del dopolavoro
che non scorre lento prima di arrivare a casa e ti sorpassa sulla
destra e ti rintrona di clacson se non riparti subito allo scattare
del verde. Ma poi tutti dove vanno? La sera li ritrovi a guardare la
Carrà in televisione o a leccare un cono in piazza e due passi sul
lungomare prima di crollare di sonno dopo un amore take-away.
Ed io che li disprezzo vorrei essere come loro, ma la sera sono sola
e triste e fisso il soffitto mentre si gremiscono i fotogrammi dei nostri
discorsi sulle pareti, le nostre guerre e le nostre tregue, la porta che sbatte,
le corse per le scale per riprenderti e riprendere tutto da un bacio che
mi gira ancora la testa se ci penso, che se fossi un dolore ti curerei con un malox
ma sei una sbronza forte che non passa e che non voglio far passare.
Poi sono troppo stanca e sfumo a nero

Anna questa settimana non c’è, va in Sardegna dai sui genitori, ho
già le chiavi dell’appartamento, vai già tu a sistemar la roba, tra
una settimana torno ha detto.
Prima di spegnere la luce le telefono, ultimamente si parla
sempre della casa, della convivenza, del fatto che devo dirlo a tutti,
che due o tre amici non bastano e la domenica quando torno
dai miei, poi in un attimo è già lunedì e ricomincia tutto daccapo come
un incubo. Ieri alla televisione un politico ha detto che gli omosessuali non possono
insegnare alle scuole elementari, che i bambini diventano gay,
come fosse una malattia virale, come prendersi un fungo in piscina.
Giuly mi aiuta a pulire casa prima di traslocare, mia madre
dice che è maleducazione lasciare la casa sporca al proprietario
per me è sprecar tempo; il proprietario ha detto che mandava
l’impresa di pulizie. Giuly è sposata e ha due figli e la mia età
anche se non è più una donna molto giovane.
Per mantenersi aiuta a pulire le case degli altri ed io mi chiedo se
poi abbia tempo di pulir la sua.
Parla sempre dei suoi figli e mai di suo marito, eppure
dovrebbe essere felice a mio avviso di far parte dell’esercito
degli etero e di non dover spiegare a nessuno cosa fa quando
è a letto con il suo lui. Il più grande dei suoi figli ha sei anni
e sa leggere benissimo, il secondo ne ha tre e ama giocare con
i lego, Giuly vuole che da grande faccia l’ingegnere. Io spero non si
senta mai obbligato. Giuly mi ha chiesto perché vado a vivere con un’amica,
dice che sono bella e che è strano che alla mia età non abbia
ancora un marito. Io le ho detto che Anna non è una mia amica e lei ha
incalzato dicendo che è come una sorella e mi capisce benissimo.
Io credo non abbia capito niente. Non accenno parola e lei comincia
a raccontare che prima di sposarsi aveva un’amica e che stavano sempre
insieme e che tutti pensavano fossero lesbiche. Quando dice lesbiche
sussurra e fa gli occhi grandi come i bambini quando bestemmiano sotto
il banco a catechismo. Spazzo un po’ il pavimento e lei ridacchia, poi
mi rassicura, io sono aperta a queste faccende, mi fanno un po’ effetto ma…
un po’ effetto come fanno i lombrichi, dalla faccia che ha fatto, ma… li
riconosco… anche quelli che si vestono da uomini veri… è l’atteggiamento…
poi mette una mano davanti alla bocca e mi sussurra all’orecchio,
mio cognato dice che sono gli ormoni che hanno
dato ai polli per farli crescere in fretta…
beh… chissà se anche Rupert Everett ha mangiato quei polli che dice il
cognato di Giuly.

Domani arriverai ed io non ho parlato con mia madre che sta sempre a
combinarmi appuntamenti al buio con i figli delle sue colleghe e apre la
porta a tutti i rappresentanti.
Non ho parlato a mio padre che mi chiede come va il lavoro e intanto
svuota e riempie il suo bicchiere. Non incazzarti Anna, sto cercando le
parole giuste, il momento per non sentirmi dire che da quando sono
nata do problemi, non voglio che mia madre dica che lo faccio apposta
per farla morire d’apprensione.
Ora dormo che è l’ultima notte che passo in casa mia e non ci
saranno più letti singoli e neanche cose completamente mie,
tutto sarà nostro. Saremo entrambe le nostre mogli e spero
non sia il temporale d’una moina a stecchirmi come il verso della
poesia che scrissi quando t’incontrai la prima volta alla stazione
dove lo sciopero dei treni ci aveva spostato le vacanze d’un giorno e
la vita d’una vita.

Ho appena riattaccato. Eri tu al telefono e domani non ritorni,
un contrattempo… forse… eri strana… andavi di
fretta o qualcosa del genere…ancora due giorni per decidere… perché
tu non torni. Accendo la luce e vado in cucina a bere un po’ d’acqua.
E’ mezzanotte, ero già a letto ma decido d’uscire, forse giù al pub
qualcuno ha voglia di fare una partita a biliardo e bere una birra, mi
distraggo un po’, paio di pantaloni e già entro nel locale pieno di
ragazzini, vado al bancone, tocco le tasche, tiro fuori il telefono, lo
spengo… tanto non mi richiamerai più stanotte, premo il tasto off
e la luce verde s’accende e subito rispegne. Una media chiara, mi
siedo là, anche due patatine, grazie. Aspetto. No, non ce la faccio,
riaccendo. Bevo, fumo una sigaretta. E’ tardi e domani mattina devo
consegnare la relazione al capo. Esco.
Pronto? Ciao scusa se è tardi ma avevo voglia di sentirti. Dove sei,
stai camminando?
Sì, sono stata giù al pub del porto, tutto bene?
Insomma mia madre non tanto… per questo mi fermo ancora un paio di
giorni… potresti raggiungermi qui, il mare è bellissimo e poi
i miei non ti hanno mai vista, gli ho parlato molto di te…
sarebbero contenti di conoscerti.
Non mi danno le ferie, lo sai che le ho solo in agosto…
verrei se potessi, in città si brucia dal caldo, sei abbronzata?
Sono nera come un tizzone! Hai finito di sistemar la roba?
Si… è tutta imballata, Giuly mi ha dato una grossa mano, con
tutto il lavoro che ho in questi giorni, lei è stata decisiva
beh… hai le chiavi, porta gli imballi a casa così quando torno
è già tutto apposto… o ci hai già ripensato? L’hai detto ai tuoi?
Sì… no… insomma…
Come insomma! O sì o no?
Gli ho detto che mi trasferivo da un’amica…
Un’amica? Io sarei questo per te?
Per me no… ma…
Vaffanculo Lilly, trovatene un’altra di amica.
Tu-tu-tu. Sbam.
Di colpo il sonno è passato. Farò ancora due passi. Trilla di nuovo
il cellulare. Magari ti sei accorta d’esser stata troppo dura e vuoi
chiedermi scusa. Non sei tu. Già, raramente torni indietro o ti
volti a guardare. Non conosco il numero e sono tentata di non
rispondere. Continua a trillare. Fastidioso.
Pronto?
Lilly sei tu?
Chi parla? Oh… Dio riconosco la voce
Sono Giacomo
Che cosa vuoi?
Solo dirti che ti amo ancora, che sono disposto a tutto per averti
Non puoi farci niente, non posso continuare con te
Solo un’altra volta, ti prego! Sono all’hotel Victoria, stanza ventisei.

Forse mi aiuterebbe a capire.

Fra dieci minuti sono da te ma sappi che umiliandoti non mi riconquisterai
Tu-tu-tu. Sbam.

Che faccio ora? Una lite mi porta subito fuori strada?
Davvero voglio macchiare per sempre questa storia?

Sono davanti all’hotel. Entro.

Io amo Anna. Niente d’importante. Solo una breve sosta all’autogrill.

Devo telefonare ad Anna. Considerarlo un dovere è una tempesta di
contraddizioni: dovrebbe essere un piacere o una necessità. Non ne
sento il bisogno, forse me ne sono già disintossicata?
Magari lei mi sta pensando e ci sta ripensando, meglio si sta pentendo.
Mi telefonerà lei se vorrà tanto domani dovrebbe tornare.
Allora perchè sento un colpo secco all’imboccatura dello stomaco?
La rivedrò. Sono calma e provo a dormire. Allora perché sento che ne
morirò stanotte? Tornerai domani. Il telefono così ha detto, tornerai
e sarà tutto più chiaro, d’improvviso vedrò quanto sei bella con i
capelli mossi dalla scia del vento, rivedrò quanto sei dolce quando cerchi
il lucidalabbra nella borsa e frughi indignata come se non fosse il tuo il
disordine. Poi alzerai lo sguardo e mi vedrai e il dubbio scomparirà dalla mia
mente e quest’angoscia che mi sbarra fissi gli occhi nel buio e mi accerchia
d’occhiaie sarà un’altra storia.
Che sbaglio sarebbe se tu, fossi andata con un’altra donna
mandando in rovina in un momento anche il più meditato dei miei
piani? So che non sarà così, che la lontananza ha giovato ad
entrambe, troppo cariche l’una dell’altra da sprofondare
nella neve fresca. Domani comprerò un quadro al mercatino all’angolo
dove andammo al primo appuntamento e il suo posto sarà in
camera da letto, testimone silenzioso della nostra unione.
Non potrà benedirci prete alcuno, né celebrare rito nuziale
ma ti farò più moglie d’ogni altra e non rimpiangerai mai di
non aver donato la tua innocenza ad un uomo.

Il tramonto alza in cielo i gabbiani, qui al porto di Genova.
Tra poco sarai qui con il traghetto pieno di gente.
Spero che vada tutto bene. Non sopporterei una sorpresa.
Anna, stamattina al telefono hai tagliato corto, non ti è mai
piaciuto stare ore alla cornetta. Che strano mazzo di margherite
fra le mani, ho l’impressione che tutti mi stiano a guardare,
o forse hai ragione tu, la gente non si cura affatto di noi. La gente
passa e non si cura affatto di niente. Assomiglio ad un pivellino
al suo primo appuntamento, teso, le mani gli sudano, mentre
gli si impasta la bocca. Ecco scorgo la corrente delle onde e
la brezza sottile, quella dell’arrivo delle navi, ecco la sirena, sei
proprio tu, con il vestito azzurro sul ponte, non riuscirei a
confonderti tra migliaia di sosia. Finalmente è andato tutto bene
mi sorridi e tra poco potrò riabbracciarti.
Ti abbraccio.
Carine le margherite, sono per me?

Grazie
Com’è andato il viaggio?
Apposto sono stanca
Andiamo a casa?
Sei ancora incazzata?
No… e di che… va beh va, andiamo a casa
Andiamo.

martedì 18 dicembre 2007

La rete

Oggi un utente internet si è messo in comunicazione con me per acquistare il mio racconto. Questo è un ragazzo che si è imbattuto nel mio blog mentre "navigava in rete", mi ha trovata, ha avuto delle impressioni, ha fatto qualcosa.
E' la prima volta che penso al mio blog come ad uno strumento di comunicazione, anzi di "connessione" fra individui reali che si conoscono, si parlano nell'etere ma non fanno questo faccia a faccia e non avrebbero potuto parlarsi senza internet e non avrebbero potuto conoscersi e comprare il mio libro. Dall'universale al particolare.
Internet: che invenzione strepitosa!
Ho deciso, per la grandezza del mezzo di regalarvi un racconto che non c'entra niente, una cosa data così, per la contentezza

Il ritorno dell’ amore bastardo

Ferie d’agosto, ferie d’amici, da griglia sulla spiaggia, da dormirci tutti assieme, da legarci al dito uno con l’altro, di ogni mano. Mi taglio e con il sangue saremo fratelli. Potrò salvarti la vita o dalla vita, come vuoi. Via il costume, che ci giunga sottopelle questa notte, da ritrovarcela domattina sotto le unghie, tutti assonnati, con le facce ancora gonfie di sogni o di quel sonno senza sogni che ti scava gli zigomi. E pensare d’aver capito tutto in quell’attimo, mentre lui ti guarda e sorride, pensare che sia quella la felicità e crederci più forte, abbracciare quest’emozione anche se dura solo un istante.
Poi tornare, riporre ogni cosa nello scrigno della memoria, la mensola delle foto sarà complice di quelle giornate.
Poi crescere, sembra inevitabile. Perdersi.
Poi rivedersi, dopo il tempo, dopo il giorno, dopo il lavoro, dopo loro e dopo noi, dopotutto. Rincontrarsi.

“Perché mi hai chiamato stasera?

Bella domanda davvero, peccato non sappia risponderti.
Il sospetto è che non ci sia una risposta ma non voglio dirlo. Io credo sempre di avere la chiave del mondo, ma tu, dovessi scrivere di me diresti che ho il seno grande e il culo tondo e che capisco poco però sono intelligente.
Stasera potrei dirti tante cose, magari potrei raccontarti le mie giornate, forse sarebbe divertente.
Meglio lasciar stare, se non ricordo male, ai tempi, non era parlare il gioco che ci veniva meglio . Eravamo due bambini con le mani sporche di terra in cortile o nella tua cantina a farci lividi e a riderne il giorno dopo .
Ci restavamo addosso: io i tuoi, tu i miei segni e le assenze da giustificare.
Avevo tanta paura ad andare la sera nel bosco, mi raccontavi dei fantasmi e dei briganti, davi il nome ad ogni ombra ma eri tu, erano i tuoi mostri che svanivano quando lento mi spogliavi e accarezzavi piano il mio contorno.

“Cosa vuoi tu ora?”

Non rispondi , alzi le spalle e allarghi le braccia. Sono domande retoriche mi viene da pensare, domande che non si fanno. Tu non sai nulla e se ti dicessi ancora che tocca pensare prima di far le cose avrei paura d’esser ascoltata che se attacchi a ragionare non saresti più mio; né amore né niente. E’ il ricordo delle vecchie scoperte, dell’infanzia che si infrange nella giovinezza; in quel punto c’è un momento che ha i nostri nomi e in quel punto è sempre naturale tornare, fosse solo a riprendere fiato un attimo, riposarsi e ripartire. Siamo le nostre radici o solo le mie e tu datti un nome.
Questa notte hai un regalo per me. Una foglia secca di castagno che sai far brillare come un diamante. Mentre le dai un senso io ricordo bene perché ti amavo. Potrei giurarlo a un prete mentre te ne stai a raccontare di come questa foglia sia provvidenziale. Potrei darti un figlio mentre t’inventi la vita e ne convinci il resto, ce lo incastri e non fa mai una piega. Incontrassi la verità sulla tua strada un giorno o qualcosa di simile forse non saresti più tu ed io non sarei più certa di nulla.

Io voglio solo starti addosso con la stessa paura che avevo allora e non altro.
Mi sdraio sulle tue ginocchia; mi meraviglio di riscoprire l’azzurro dei tuoi occhi, la tua solita postura, il bianco liscio della pelle e l’odore di bucato appena fatto.
Ricordi tutto di noi. Il tuo ricordo è tangibile, è fatto di carne e sangue, il mio è più astratto, leggero, potrebbe essere vuoto. Poteva essere amore per qualche poeta fallito. Io dico: era solo compatibilità di persone.
Parliamo, si ricorda e si elude. Sceglie la memoria e l’epilogo già visto di quella storia. Ora tu sei adulto ma ancora la tua maturità non si ode e ancora non stai invecchiando anche se nel ciuffo nascondi qualche capello bianco.

Eravamo nel bosco e cominciammo a litigare
“Non mi piacciono le ragazzine che piagnucolano”
Io davanti a un uomo non ho mai più pianto.
Sei sorpreso io sia sempre più amara, come se quella grinza che m’increspa gli occhi tu non volessi ammettermela
Mi manca il tempo.
Quel tempo.
Quei giorni in cui non riuscivo a scappare senza essere trovata.
Quando mi cullavi insegnandomi a sognare.
Quei giorni che sono oggi.
Quei noi che siamo io e te .

“Facciamo l’amore?”
“Vieni qui, dai…”
“Poi andiamo via”

giovedì 13 dicembre 2007

Donne in cammino verso il mondo

Ieri sera sono stata ad una riunione organizzata dalle donne di rifondazione comunista. Abbiamo parlato della posizione delle donne all'interno del partito e abbiamo divagato: si è parlato di violenza sulle donne, donne e politica, donne e filosofia. Mentre ascoltavo le compagne pensavo a quanto fosse "secondario" il ruolo delle donne nei diversi ambiti del mondo. Ruolo di margine da sempre. Eppure senza donne gli uomini non nascerebbero neppure. Divagando nei miei discorsi mentali mi è venuta in mente una ragazza afgana con cui ho scambiato qualche parola nella biblioteca di Alessandria durante un viaggio in Egitto nell'agosto del 2004. Fu un brevissimo scambio di idee, mi fece una domanda ed io risposi ma credo sia stato uno dei dialoghi più significativi della mia vita. Tornata a casa scrissi una poesia, su di lei, su di me, sulle donne.
Questa:

Burqa

Come fai a guardare il mondo da dietro quel velo
donna?
credo sia sempre nero
il cielo
da dietro il velo
donna.
non si respira con quel coso addosso
che non ci sono parole a descriverlo degnamente
non si può.
una ragazza alla biblioteca di Alessandria mi tocca i capelli
la guardo e mi impaccia perché non posso vederla
ha il Burqa
la lascio fare
le chiedo se è libera o obbligata
lei alza il drappo, mi punta gli occhi addosso, neri
e risponde:
Sono afgana

lunedì 10 dicembre 2007

Segmento, triangolo o dodecaedro?

Un amico mi ha fatto notare come su questo blog tratti sempre argomenti poco personali, di interesse generale che secondo lui non interessano affatto.
Sebbene non condivida questo pensiero, non mi piacciono i blog-diario dove scrivere della tua squallida, piccola vita scriverò un post un po' più personale, un discorso affrontato con questo mio amico oggi pomeriggio.
Trattasi di rapporti d'amore. Io credo che l'amore sia un percorso ascensionale che due persone (non uno, non tre ma due)intraprendono insieme. Un cammino verso l'alto, dove in alto sta la felicità. Non so se cammino ascensionale sia il termine adatto ma foneticamente rende l'idea. A grandi linee il concetto che esprime Dante nella Vita Nuova.
Il mio amico invece crede che l'amore sia un sentimento "caotico" a cui non si può dare una forma precisa così che si può amare totalmente più persone in egual misura.
Ecco il mio pensare alle figure geometriche: nel mio postulato "cos'è l'amore" darei la definizione di segmento, cioè una retta che passa da due punti che sarebbero Lui e Lei; il postulato "cos'è l'amore del mio amico rispecchia la definizione di dodecaedro, una figura geometrica a dodici lati tutti lunghi uguali (mi sembra). Mentre scrivo mi vengono in mente le parole di un altro mio vecchio amico che dice: per star bene in coppia bisogna essere in tre riferendosi al triangolo, appunto. Voi che ne pensate?

sabato 8 dicembre 2007

Vecchi ritagli

Mettendo la casa in ordine ho trovato una scatola con vecchi ritagli di giornale che conservo con un motivo chiarissimo al momento del ritaglio che si rivela inesistente al momento del ritrovamento. Questo in particolare riguardava il rinnovamento di Torino per le Olimpiadi invernali 2006. Ad ogni modo, quel ritaglio era stato spunto di un racconto che metto di seguito. Buona lettura

ICELOTOR

“Ghiaccio bollente” era soprannominata Anita Ekberg.
“ Icelotor” era il nome di battaglia di Miriana Bianchi, ventiseienne, pattinatrice.
Artista. Era uno spettacolo di sicuro gradimento vederla in pista e anche chi, di regola si annoia ad assistere alle esibizioni di pattinaggio, quando entrava lei si ringalluzziva. Era vigore e agilità al tempo stesso. Tagliava l’aria in due come un fulmine. Scartava le sue stesse gambe, le avvitava senza intrecciarle e l’idea principale era l’illusione costante che le sue ginocchia fossero in grado di piegarsi al contrario. Il suo fisico androgino e snello sfrecciava come un’onda di sangue caldo su un paradiso ghiacciato. Le sue coreografie non erano mai scontate né facili da presentare. Di norma nessuno si avventurava nelle torsioni e negli avvitamenti che disegnava Miriana e se lo faceva lasciava una gamba in pegno. I radiocronisti e giornalisti sportivi gridavano al fenomeno, le frasi che costantemente affiancavano il suo nome sulle pagine di giornale erano: straordinaria, fenomenale, inaudita. Davvero una rivelazione pre-divina. L’antipasto prima dell’eden: lei che balla il charleston con una deliziosa tutina aderente.
Molti erano i candidati maschili ad accompagnarla, tanti i pattinatori che avrebbero venduto la mamma al diavolo per farle da patner e godere della scia luminosa che lasciava ad ogni sua prestazione. In due anni d’attività agonistica era diventata milionaria, aveva incamerato un patrimonio non sottraendosi a nessun tipo di campagna pubblicitaria. Miriana pubblicizzava in modo indiscriminato per tutto il tempo in cui non doveva allenarsi. Bastava accendere la televisione per rallegrarsi con il suo sorriso e la sua voce calda. Sia che la usasse per dire “Parmigiano Reggiano” o consigliasse un nuovo shampoo antiforfora. Le si andava dietro volentieri ed era sulla bocca di tutti. Bastava nominarla per provocare una reazione, faceva venir in mente una colazione sui prati o una canzone melodica, era brezza nella calura estiva.
Persino le donne l’amavano e le ragazze la emulavano. Miriana, da poco aveva avviata una carriera da stilista di lingerie il cui slogan recitava “Cogli l’attimo: togli il velo e sfiora il cielo”. Era una collezione di perizoma alla metà fra il ginnico e il ricercato correlati da reggiseno a balconcino.
Prometteva diete da cinque chili in un mese senza troppe rinunce con una pastiglia a base d’alghe marine. Assicurava camicie bianche e colletti inamidati per uomini d’affari, dichiarava guerra totale alla polvere con “Acar-stop” e ai peli superflui con “Epilpilu”, l’epilatore che dopo aver strappato il pelo rilascia sulla pelle un liquido che blocca il processo di ricrescita.
Miriana era tutto questo, tutto ciò che si definisce un testimonial perfetto amabile e cordiale.
In più: un’atleta olimpionica con molte medaglie al collo probabilmente già un simbolo nella storia del pattinaggio artistico. Olimpiadi invernali di Torino 2006. Miriana Bianchi è la gran favorita. Forse la stampa è stata influenzata dai supporters che hanno invaso la città da tutta Italia solo per lei. Si nota una prevalenza di ardimentosi giovanotti pronti a contemplare le sue esibizioni sul ghiaccio ma anche lei di persona, che dopo l’epilogo della sua lunga love-story con il fotografo delle dive Gualtiero Scalpelli si dichiara “sentimentalmente libera”.
Un tipo nella folla regge un cartello con su scritto “Miriana vinci, stupisci e sposami” e sotto c’è disegnato un grosso anello con un rubino scintillante. Un altro urla tutto il tempo con un megafono “Viva Miriana vinci per noi!”
E’ stato diffidato e non può più circolare nell’area adibita per le manifestazioni sportive. E come questi tanti altri.
Miriana è un po’ agitata. Tra poco tocca a lei e le tremano leggermente le ginocchia, buon segno l’ultima volta ha vinto l’oro. Oggi per Miriana si decide la carriera: se fra gli dei dell’Olimpo o fra i tanti secondi del mondo. Lei non si sentiva seconda a nessuno. Il successo le aveva gonfiato il petto d’orgoglio e la testa di fierezza. L’ultimo sorso d’acqua e via, si va’, la gara ha in inizio.
Parte la musica. E’ una versione elettronica del can-can. Miriana comincia a ballare ed è come se volasse, il ghiaccio nemmeno si graffia, la lama dei pattini scivola leggera e veloce e sembra non intaccare la superficie. Il pubblico ammira con stupore e batte le mani a tempo di musica. Miriana sorride, è in forma, sta dando il massimo, ormai si vede assaporare l’ambrosia del gradino più alto del podio. E’ Fatta.
All’improvviso una gamba le cede e la lama taglia il ghiaccio. Una smorfia di dolore e rabbia incide il viso della pattinatrice che cerca di raddrizzare la posa ma la leggerezza s’è persa e ora le lame dei pattini si stagliano sopra al ghiaccio lasciando una scia di granelli sottili. La musica insiste, il pubblico batte le mani per incitare la sua eroina, non li ha ancora delusi, è sempre il testa.
La figura è quasi finita. Eccola all’indietro per i suoi fans, sorride, recupera.
Poi dalle file dietro si sento un urlo
“Attenzione! Il cartellone!”
Tutti si girano e notano che l’enorme stand di una pubblicità si è staccato dai sostegni e ondeggia minacciosamente sulla pista. Alcune file del pubblico sono costrette ad allontanarsi. Miriana non s’è accorta di nulla, è sola con la sua concentrazione e sta di nuovo pattinando divinamente. I graffi nel ghiaccio sono solo un brutto ricordo ora lei sta volando. L’ultimo passaggio. Il cartellone precipita.
Silenzio.
Sirene d’ambulanza, tante lacrime e grida disperate.
Miriana è morta. Lì, giace il suo corpo senza vita sotto il peso del cartellone luminoso con il suo stesso faccione ma sorridente e lo slogan “Non aspettare la manna dal cielo…proteggiti con l’assicurazione”.
La famiglia devolse il suo intero patrimonio ad un’associazione per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

sabato 1 dicembre 2007

Se paghi sei pulito

Leggevo ieri su un quotidiano un singolare provvedimento del comune di Milano.
Per entrare in centro città tutte le vetture non euro4 dovranno pagare cinque euro di pedaggio.
Come dire se paghi la tassa non inquini più e puoi circolare. Praticamente una norma inutile per l'ambiente, pagati gli euro i mezzi dal fumo nero potranno inquinare lo stesso e un'altra tassa per quei cittadini che magari non ce la fanno a cambiare auto perchè non hanno i soldi (un' utilitaria euro4 parte dai 9.000 euro) e che devono per forza circolare nelle zone vietate per lavoro.
Ecco ancora una volta la stessa favola: il ricco col fuoristrada che inquina, paga e se ne batte il belino e vicino, il povero con la scarcassetta presa usata euro zero o il fiorino marcio ma che per caricare materiale da lavoro è indispensabile che paga, bestemmia, il cappio al collo stringe sempre di più ma continua ad inquinare.
Brava Moratti un'altro bel colpo nella tua fervida carriera di cazzate!