ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

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domenica 23 novembre 2014

Lucia non cade – il nuovo libro di Chiara Borghi esce per Matisklo edizioni




Nel mese di novembre 2014 uscirà in tutte le librerie online, il terzo libro di Chiara Borghi: Lucia non cade. Le atmosfere sono quelle del noir, la storia racconta la vicenda di una donna, della violenza che ha subito e della società che la circonda . Il ritmo è serrato, una fuga dall’orrore verso qualcosa di indicibile. Riuscirà Lucia a non cadere?

Di seguito riporto per intera la prefazione di Livia De Pietro.

Il libro “Lucia non cade” di Chiara Borghi va annoverato nel filone letterario “letteratura al femminile”, termine entrato a far parte della critica dal 1970 in poi, grazie al rigore del movimento femminista, che pretese dignità alla scrittura femminile, visto che fino ad allora le donne scrittrici venivano considerate quasi come un ingombro, nonostante un nobel del 1926 assegnato a Grazia Deledda. Allora si diceva che, mentre gli uomini scrivevano per affermarsi, le donne lo facevano per farsi accettare. Era comunque luogo comune della critica italiana che le donne scrivessero testi di poco valore letterario, interessanti solo come documenti di tipo sociologico. Queste affermazioni erano sintomo di una mentalità avvezza a relegare la donna ai margini, a legarla ancora all’esclusiva figura di madre e di colei alla quale è affidato il governo della casa. A tale proposito, Benedetto Croce , una voce autorevole nel panorama critico italiano, definiva la scrittura delle donne come la “malattia europea” che ha prodotto la crescente femminilizzazione della letteratura. Fino a qualche tempo fa, ancora essa era intesa come spazio nel quale ravvedere una sorta di egoismo testimoniato dall’ egoarchia delle donne, cioè la supremazia dell’io narrante. Questa concezione, abbastanza radicata fino agli inizi del novecento, viene poi smantellata da molte penne illustri, tipo Mazzantini, Mazzucco, Maraini, Aspesi, Tammaro, Ravera che rendono la letteratura al femminile di alto livello, a testimonianza che la loro opera non è ricerca di un effimero successo rosa né che possa essere relegata nella letteratura di intrattenimento. Il libro “Lucia non cade”affronta un tema di grandissima portata: “La violenza di genere” di cui l’abstract può essere rappresentato da questo breve stralcio: La violenza è l’aria che forma le nuvole, la violenza è corrente che parte dal basso e esplode, piove sui tetti, viene assorbita dalla falda freatica, la violenza sgorga dai nostri rubinetti, ci urla contro, è tale da colpire tutti e come ha colpito Lucia deve necessariamente colpire anche il suo aggressore. Anche lui, il mostro, il portatore di dolore, il contaminato, nemmeno lui ne sarebbe uscito indenne. La violenza è un’ortica che lascia segni indelebili, che s’arrampica e stritola la vita.
Negli ultimi mesi quello della violenza sulle donne è un argomento che apre i titoli di giornali quasi ogni giorno, nonostante sia un problema che esiste da sempre e che ogni tanto torna alla ribalta. Dare voce a questi fatti è importante perché l’esposizione del problema sensibilizza l’opinione pubblica ed orienta le leggi del governo. Il fenomeno non ha tempo né confini, è endemico e non risparmia nessuna nazione o paese, industrializzato o in via di sviluppo che sia. Non conosce nemmeno differenze socio-culturali, vittime ed aggressori appartengono a tutte le classi sociali, perché al di là di quello che tutti i giorni viene mostrato dai media, il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici, vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro. In questo caso, è un giovane frequentatore di discoteche che fa uso di sostanze stupefacenti e che, quasi senza avvedersene, esercita uno stupro:
La metamorfosi da ragazzo a non-essere mostruoso era avvenuta senza che lui se ne accorgesse. Piano piano o forse tutta in quella notte. Nessuno potrà mai saperlo. Per colpa della cocaina, dell’anfetamina, dell’hashish, dell’ibuprofene, dell’inquinamento, dell’acqua, della televisione. Nessuno potrà mai saperlo. Per colpa della sua famiglia di genitori disattenti, per colpa della scuola defraudata della sua missione educativa, dell’Italia violentata da governi sterili. Nessuno potrà mai saperlo. Per colpa di internet, della pornografia online, di quella home video, della pornografia del dolore raccontato nei talk-show, per colpa del tramonto dell’occidente. Nessuno potrà mai saperlo. Molti tenteranno di spiegarlo.

Il turpe atto di violenza marchierà per sempre l’esistenza di Lucia che, in preda a un disturbo ossessivo compulsivo, medita la vendetta:
Tutte le certezze, sul buono e sul cattivo, giusto e sbagliato non valevano più. Ora c’era lei, il marcio che aveva dentro, il male di tutto il mondo attorno e il bastardo che glielo aveva fatto, l’essere che le aveva cambiato per sempre la realtà. Non aveva più occhi per distinguere il bene dal male, non aveva più orecchie per sentire la voce del suo cuore, non aveva più voce per spiegare il suo dolore, aveva solo l’urgenza di farla pagare.
Giustizia primitiva, non mediata e non mediatica: occhio per occhio e dente per dente. La giustizia dell’uomo primitivo.

In genere la posizione degli uomini e delle donne rispetto a questo fenomeno non è equivalente: le donne figurano molto più spesso come vittime e gli uomini come responsabili, così Lucia:

Lucia si sentiva sporca, violata e sentiva che tutto il mondo le dava la colpa. Sottovoce, dietro le spalle, il mondo dava la colpa a lei: “è la donna che provoca, che si fa violentare”. Questo sentiva dire in giro, sottovoce, a denti stretti e con la mano davanti alla bocca mentre dal centro della piazza si urla allo scandalo della violenza e del femminicidio. A Lucia sembrava che solo le vittime uccise fossero degne di essere difese, fossero vere vittime. Lei si sentiva in colpa per esserci, per esserne scampata anche se non ne era davvero scampata. Non era fuggita, non era morta. A Lucia era toccata la terza via, aveva salva la vita dalla morte ma non dall’orrore. Era sola con l’orrore. L’unica via sana, per lei ora, era la follia.

Non tutti gli uomini naturalmente usano violenza contro le donne, ma quelli che lo fanno, è per lo più per mantenere o rafforzare il loro potere nei riguardi delle donne o per bloccare un regresso di questo potere. In quasi tutte le società tradizionali le donne rispetto agli uomini hanno sempre vissuto situazioni di subordinazione e discriminazione; l’ istruzione fino a non troppo tempo fa era limitata all’ apprendimento di abilità domestiche, non avevano accesso a nessuna posizione di potere ed il matrimonio è stato quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Nel concreto, però, forme di violenza fisica, psicologica, ed economica non si sono estinte e restano una piaga della società di cui le donne sono le uniche vittime.
Se le violenze si consumano in privato, è difficile che vengano denunciate, per questo sono indispensabili campagne di sensibilizzazione al problema e aiuti più concreti verso chi ha il coraggio di denunciare il proprio aguzzino. Non servono solo i centri di accoglienza, pure importanti, per le vittime, ma serve prevenzione! Serve la cultura del rispetto. E come può esistere rispetto per le donne se vengono mercificate ovunque? Molte trasmissioni Tv, somministrano quotidianamente le cosiddette veline, letterine, soubrettine. Dosi continue di donne che sculettano seminude del tipo lapdance. Un lavaggio del cervello accurato e le veline (e simili, diventano il modello femminile di riferimento per le bambine e per i bambini.) Le donne sono continuamente spogliate, umiliate, derise, ridicolizzate, mascherate, discriminate, quindi non esiste rispetto per le donne.
Insomma, la “banalità” della violenza sulle donne sta nel fatto che essa rappresenta di per sé uno dei cardini su cui è fondata l’Età dell’apparenza, l’epoca storica in cui viviamo. Questo tipo di violenza non è relegato al solo ambito delle mura di casa, è radicato nella società, nelle strade, negli uffici, nei luoghi pubblici, è “banale” perché visibile a tutti, riconoscibile, evidente, palese.
Questo genere di male forse non arriva a uccidere fisicamente, ma annulla le personalità, incide sui caratteri, annichilisce l’essenza di una persona. Molte donne probabilmente non sanno neppure di essere vittime di questi abusi, spesso ignorano di essere l’oggetto di una vera e propria strategia di distruzione, verosimilmente ritengono che la vera violenza sia di un altro genere. Rappresentazioni di sottomissione come queste sono proprio alla base della nostra società, passano nelle televisioni commerciali, vengono usate in maniera subliminale per stimolare la vendita di prodotti in ambito pubblicitario. Il libro, quindi, offre lo spunto per affrontare il tema della violenza di genere da diverse angolazioni, ma soprattutto dal lato educativo. Per giungere al rispetto delle differenze dobbiamo cominciare a produrre pensieri adatti allo scopo nei bambini che frequentano l’asilo e dunque la scuola primaria, con temi, e giochi che mettano in luce le funzioni e le azioni che raggiungono obiettivi utili a tutti, proprio in nome di questa differenza. E sono le donne che possono insegnare a tutti noi che l’amore non ha sesso, dal momento che sono loro nelle condizioni di far crescere tanto un maschio quanto una femmina, prima ancora che questi incontrino il mondo dei maschi. Ma per fortuna, e molte donne lo sanno, il mondo dei maschi possiede anche quel rispetto e dolcezza nei riguardi della donna che convive assai bene nel dialogo e nell’affetto che un vero uomo sa esprimere nella propria vita.