ll futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

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mercoledì 26 dicembre 2007

D'amore parlando

Per restare in tema dato che è Natale e si dovrebbe parlare d'amore e agire d'amore pure metto un altro racconto, un po' più lungo, che parla di questo: amore
Chissà se anche stavolta qualcuno mi chiederà se è una storia tratta dalla mia vita?

Ferie d’estate


Splendi con la tua pazza luce di diamante
piccolina che ancora non so per quanto
potessi sarebbe un lungo assolo di chitarra
sarà invece il temporale d’una moina a stecchirmi
uguale a quella del bigemino all'angolo
ti distingueranno donna dallo sguardo
ma tu già lo sei
ed investi me
mi insegni d’una sfolgorante tua verginità
che si fa mia nell’attimo in cui mi svesto di fredda porpora sul tuo tappeto
questa è una guerra vera.

Al mattino riprendo con un macchiato caldo; mi ricucio gli
iridi agli occhi e ti guardo crescere dalle lenzuola.
Pazza sciagurata rimetti quel reggiseno! Mi fa orrore ora il tuo
petto nudo e poggio una mano a coprirmi timidamente gli occhi
e a strofinarmeli. Abbottoni la camicia e guardi in basso, non essere
offesa con me, stropicci la lingua sulle labbra e le storci, poi ti
alzi e ti guardi allo specchio grande tutta intera, slip e camicia,
intanto tiri i lembi ai lati degli occhi e scuotendo la testa fai
le smorfie e ridacchi come una scolaretta stupida che ha
appena rubato un lecca-lecca dal cesto grande della maestra.
“Eh eh … cinesina … eh eh” sei al settimo cielo e sembri stupita
che io rida poco e quel poco mi sforzi, sicuramente stai
pensando che non sono ancora pronta, che trasferirmi da te
e neanche ai miei amici e che niente di mio è a conoscenza
di noi due. Non è vero, tu non mi hai estorto niente e questa
è stata una mia scelta, tanto non potevo più stare con Giacomo
per etichetta, non aveva più senso guardare i maschi per
convenzione. Ma anche adesso che ho deciso e ti avrò davanti
al caffè la mattina, ho paura e ho paura d’averne perché nel
nostro caso, amore, aver paura vuol dire ripensarci,
ritornare alla normalità anche quando non ci appartiene.
Anna, sai che ti amo, sai che non sarei mai in grado di
lasciarti e sii libera di prendere questo vincolo come un
limite, ma sai anche tutto il resto e forse ne intuisci un di più
a cui io non sono ancora arrivata. Anna sai che ti sposerei
se ne venisse il tempo e forse è proprio questo che ha da
venire, il tempo per noi perché un nostro bacio fa rabbia sentirselo
sbirciato da qualche estraneo che c’ingabbia nel
fluire rigido dei suoi pensieri e ci castiga.
Ora versa il caffè e lascia sgombro il comodino che ci
appoggio le brioches calde e sto attenta a non sbriciolare.
Devo fare in fretta per l’autobus delle otto e cinque che alle otto
e trenta il computer deve stare acceso e il caporeparto gira gli uffici
a controllare che i numerini verdi lampeggino sul nero dello schermo.
Poi, l’uscita alle cinque e mezza, ciao a tutti e a domani, il traffico delirante del dopolavoro
che non scorre lento prima di arrivare a casa e ti sorpassa sulla
destra e ti rintrona di clacson se non riparti subito allo scattare
del verde. Ma poi tutti dove vanno? La sera li ritrovi a guardare la
Carrà in televisione o a leccare un cono in piazza e due passi sul
lungomare prima di crollare di sonno dopo un amore take-away.
Ed io che li disprezzo vorrei essere come loro, ma la sera sono sola
e triste e fisso il soffitto mentre si gremiscono i fotogrammi dei nostri
discorsi sulle pareti, le nostre guerre e le nostre tregue, la porta che sbatte,
le corse per le scale per riprenderti e riprendere tutto da un bacio che
mi gira ancora la testa se ci penso, che se fossi un dolore ti curerei con un malox
ma sei una sbronza forte che non passa e che non voglio far passare.
Poi sono troppo stanca e sfumo a nero

Anna questa settimana non c’è, va in Sardegna dai sui genitori, ho
già le chiavi dell’appartamento, vai già tu a sistemar la roba, tra
una settimana torno ha detto.
Prima di spegnere la luce le telefono, ultimamente si parla
sempre della casa, della convivenza, del fatto che devo dirlo a tutti,
che due o tre amici non bastano e la domenica quando torno
dai miei, poi in un attimo è già lunedì e ricomincia tutto daccapo come
un incubo. Ieri alla televisione un politico ha detto che gli omosessuali non possono
insegnare alle scuole elementari, che i bambini diventano gay,
come fosse una malattia virale, come prendersi un fungo in piscina.
Giuly mi aiuta a pulire casa prima di traslocare, mia madre
dice che è maleducazione lasciare la casa sporca al proprietario
per me è sprecar tempo; il proprietario ha detto che mandava
l’impresa di pulizie. Giuly è sposata e ha due figli e la mia età
anche se non è più una donna molto giovane.
Per mantenersi aiuta a pulire le case degli altri ed io mi chiedo se
poi abbia tempo di pulir la sua.
Parla sempre dei suoi figli e mai di suo marito, eppure
dovrebbe essere felice a mio avviso di far parte dell’esercito
degli etero e di non dover spiegare a nessuno cosa fa quando
è a letto con il suo lui. Il più grande dei suoi figli ha sei anni
e sa leggere benissimo, il secondo ne ha tre e ama giocare con
i lego, Giuly vuole che da grande faccia l’ingegnere. Io spero non si
senta mai obbligato. Giuly mi ha chiesto perché vado a vivere con un’amica,
dice che sono bella e che è strano che alla mia età non abbia
ancora un marito. Io le ho detto che Anna non è una mia amica e lei ha
incalzato dicendo che è come una sorella e mi capisce benissimo.
Io credo non abbia capito niente. Non accenno parola e lei comincia
a raccontare che prima di sposarsi aveva un’amica e che stavano sempre
insieme e che tutti pensavano fossero lesbiche. Quando dice lesbiche
sussurra e fa gli occhi grandi come i bambini quando bestemmiano sotto
il banco a catechismo. Spazzo un po’ il pavimento e lei ridacchia, poi
mi rassicura, io sono aperta a queste faccende, mi fanno un po’ effetto ma…
un po’ effetto come fanno i lombrichi, dalla faccia che ha fatto, ma… li
riconosco… anche quelli che si vestono da uomini veri… è l’atteggiamento…
poi mette una mano davanti alla bocca e mi sussurra all’orecchio,
mio cognato dice che sono gli ormoni che hanno
dato ai polli per farli crescere in fretta…
beh… chissà se anche Rupert Everett ha mangiato quei polli che dice il
cognato di Giuly.

Domani arriverai ed io non ho parlato con mia madre che sta sempre a
combinarmi appuntamenti al buio con i figli delle sue colleghe e apre la
porta a tutti i rappresentanti.
Non ho parlato a mio padre che mi chiede come va il lavoro e intanto
svuota e riempie il suo bicchiere. Non incazzarti Anna, sto cercando le
parole giuste, il momento per non sentirmi dire che da quando sono
nata do problemi, non voglio che mia madre dica che lo faccio apposta
per farla morire d’apprensione.
Ora dormo che è l’ultima notte che passo in casa mia e non ci
saranno più letti singoli e neanche cose completamente mie,
tutto sarà nostro. Saremo entrambe le nostre mogli e spero
non sia il temporale d’una moina a stecchirmi come il verso della
poesia che scrissi quando t’incontrai la prima volta alla stazione
dove lo sciopero dei treni ci aveva spostato le vacanze d’un giorno e
la vita d’una vita.

Ho appena riattaccato. Eri tu al telefono e domani non ritorni,
un contrattempo… forse… eri strana… andavi di
fretta o qualcosa del genere…ancora due giorni per decidere… perché
tu non torni. Accendo la luce e vado in cucina a bere un po’ d’acqua.
E’ mezzanotte, ero già a letto ma decido d’uscire, forse giù al pub
qualcuno ha voglia di fare una partita a biliardo e bere una birra, mi
distraggo un po’, paio di pantaloni e già entro nel locale pieno di
ragazzini, vado al bancone, tocco le tasche, tiro fuori il telefono, lo
spengo… tanto non mi richiamerai più stanotte, premo il tasto off
e la luce verde s’accende e subito rispegne. Una media chiara, mi
siedo là, anche due patatine, grazie. Aspetto. No, non ce la faccio,
riaccendo. Bevo, fumo una sigaretta. E’ tardi e domani mattina devo
consegnare la relazione al capo. Esco.
Pronto? Ciao scusa se è tardi ma avevo voglia di sentirti. Dove sei,
stai camminando?
Sì, sono stata giù al pub del porto, tutto bene?
Insomma mia madre non tanto… per questo mi fermo ancora un paio di
giorni… potresti raggiungermi qui, il mare è bellissimo e poi
i miei non ti hanno mai vista, gli ho parlato molto di te…
sarebbero contenti di conoscerti.
Non mi danno le ferie, lo sai che le ho solo in agosto…
verrei se potessi, in città si brucia dal caldo, sei abbronzata?
Sono nera come un tizzone! Hai finito di sistemar la roba?
Si… è tutta imballata, Giuly mi ha dato una grossa mano, con
tutto il lavoro che ho in questi giorni, lei è stata decisiva
beh… hai le chiavi, porta gli imballi a casa così quando torno
è già tutto apposto… o ci hai già ripensato? L’hai detto ai tuoi?
Sì… no… insomma…
Come insomma! O sì o no?
Gli ho detto che mi trasferivo da un’amica…
Un’amica? Io sarei questo per te?
Per me no… ma…
Vaffanculo Lilly, trovatene un’altra di amica.
Tu-tu-tu. Sbam.
Di colpo il sonno è passato. Farò ancora due passi. Trilla di nuovo
il cellulare. Magari ti sei accorta d’esser stata troppo dura e vuoi
chiedermi scusa. Non sei tu. Già, raramente torni indietro o ti
volti a guardare. Non conosco il numero e sono tentata di non
rispondere. Continua a trillare. Fastidioso.
Pronto?
Lilly sei tu?
Chi parla? Oh… Dio riconosco la voce
Sono Giacomo
Che cosa vuoi?
Solo dirti che ti amo ancora, che sono disposto a tutto per averti
Non puoi farci niente, non posso continuare con te
Solo un’altra volta, ti prego! Sono all’hotel Victoria, stanza ventisei.

Forse mi aiuterebbe a capire.

Fra dieci minuti sono da te ma sappi che umiliandoti non mi riconquisterai
Tu-tu-tu. Sbam.

Che faccio ora? Una lite mi porta subito fuori strada?
Davvero voglio macchiare per sempre questa storia?

Sono davanti all’hotel. Entro.

Io amo Anna. Niente d’importante. Solo una breve sosta all’autogrill.

Devo telefonare ad Anna. Considerarlo un dovere è una tempesta di
contraddizioni: dovrebbe essere un piacere o una necessità. Non ne
sento il bisogno, forse me ne sono già disintossicata?
Magari lei mi sta pensando e ci sta ripensando, meglio si sta pentendo.
Mi telefonerà lei se vorrà tanto domani dovrebbe tornare.
Allora perchè sento un colpo secco all’imboccatura dello stomaco?
La rivedrò. Sono calma e provo a dormire. Allora perché sento che ne
morirò stanotte? Tornerai domani. Il telefono così ha detto, tornerai
e sarà tutto più chiaro, d’improvviso vedrò quanto sei bella con i
capelli mossi dalla scia del vento, rivedrò quanto sei dolce quando cerchi
il lucidalabbra nella borsa e frughi indignata come se non fosse il tuo il
disordine. Poi alzerai lo sguardo e mi vedrai e il dubbio scomparirà dalla mia
mente e quest’angoscia che mi sbarra fissi gli occhi nel buio e mi accerchia
d’occhiaie sarà un’altra storia.
Che sbaglio sarebbe se tu, fossi andata con un’altra donna
mandando in rovina in un momento anche il più meditato dei miei
piani? So che non sarà così, che la lontananza ha giovato ad
entrambe, troppo cariche l’una dell’altra da sprofondare
nella neve fresca. Domani comprerò un quadro al mercatino all’angolo
dove andammo al primo appuntamento e il suo posto sarà in
camera da letto, testimone silenzioso della nostra unione.
Non potrà benedirci prete alcuno, né celebrare rito nuziale
ma ti farò più moglie d’ogni altra e non rimpiangerai mai di
non aver donato la tua innocenza ad un uomo.

Il tramonto alza in cielo i gabbiani, qui al porto di Genova.
Tra poco sarai qui con il traghetto pieno di gente.
Spero che vada tutto bene. Non sopporterei una sorpresa.
Anna, stamattina al telefono hai tagliato corto, non ti è mai
piaciuto stare ore alla cornetta. Che strano mazzo di margherite
fra le mani, ho l’impressione che tutti mi stiano a guardare,
o forse hai ragione tu, la gente non si cura affatto di noi. La gente
passa e non si cura affatto di niente. Assomiglio ad un pivellino
al suo primo appuntamento, teso, le mani gli sudano, mentre
gli si impasta la bocca. Ecco scorgo la corrente delle onde e
la brezza sottile, quella dell’arrivo delle navi, ecco la sirena, sei
proprio tu, con il vestito azzurro sul ponte, non riuscirei a
confonderti tra migliaia di sosia. Finalmente è andato tutto bene
mi sorridi e tra poco potrò riabbracciarti.
Ti abbraccio.
Carine le margherite, sono per me?

Grazie
Com’è andato il viaggio?
Apposto sono stanca
Andiamo a casa?
Sei ancora incazzata?
No… e di che… va beh va, andiamo a casa
Andiamo.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello un pò confuso in qualche punto ma bello però...certo che posso chiederti se è una storia tua, perchè no? cambiare il sesso magari è un modo di esprimere,oppure...non so, tutto può essere storia nostra, comunque complimenti, ciao!!

Chiara Borghi ha detto...

no, è una storia inventata. una storia di donne. Sono contenta che ti sia piaciuto. Grazie per i complimenti

Carlo Molinaro ha detto...

Un racconto nuovo. Mi piace che lo scrivi, mi piace quel che c'è dentro. Poi è superfluo e noioso dirti che suggerirei qualche ritocco, ma in fondo la nostra storia è nata con l'editing (e non è andata molto oltre, o forse sì, dipende da come la guardi) e allora! Ma non adesso, adesso solo il piacere di immaginarti scrivere, e pensarti contenta, e questo racconto nella sostanza è buono, nella sostanza è proprio buono, da quello là Duro da morire (che non ti consiglierei di mettere nel blog) hai fatto grandi passi, e stai crescendo, e ti abbraccio.

Chiara Borghi ha detto...

ad essere sincera questo non è un racconto nuovo, ma vecchio. risale al 2004 e me lo corresse un certo alessandro, mio amico e assistente di italiano all'università

Carlo Molinaro ha detto...

Alessandro, eh? Beh, io ci farei ancora qualche ritocco, lo sai che mi piace ritoccarti. Si vede che nel 2004 scrivevi a volte qualche storia a lieto fine. Comunque è uno dei migliori, parlando di tuoi racconti brevi. Magari il 2008 sarà un anno di racconti a lieto fine. O a lieto inizio. Sì, voleva solo essere un augurio, ormai Capodanno è dopodomani, quindi l'augurio di un buon inizio. Ciao!

Chiara Borghi ha detto...

Veramente quasi tutti i miei racconti sono a buon fine dato che i personaggi realizzano sempre i loro progetti.
Sì, piace molto anche a me, l'ho mandato ad un paio di concorsi ma non ce l'ha fatta.
Buon anno

Carlo Molinaro ha detto...

Progetti un po' mortali di solito però! :-) Speriamo in progetti buoni da realizzare nella realtà, ciao, un bacio.

Carlo Molinaro ha detto...

Ho riletto meglio il racconto, me lo sono anche stampato e l'ho letto oggi in treno. Ci sono diverse frasi che mi colpiscono, una è questa: "Ho paura e ho paura d’averne perché nel nostro caso, amore, aver paura vuol dire ripensarci, ritornare alla normalità anche quando non ci appartiene". Una faccenda che può riguardare amori non solo omosessuali, ma amori di tutti i tipi, e anche altri aspetti della vita!
C'è un libro di Grazia Buono che parla di un amore saffico e che ti farò avere perché secondo me tu lo puoi capire e apprezzare molto (poi se invece non ti piacerà, beh, tutti possiamo sbagliare!). Ne ho parlato qui. Ciao, un bacio.

Carlo Molinaro ha detto...

Una frase del tuo racconto mi ha ispirato una poesia.

Anonimo ha detto...

sia questo qui sia quello dell'amoer bastardo finiscono con andiamo, poi andiamo,chissà se ha un senso,poi andare,come se c'è ancora da fare, dopo, andare, non so ci ho pensato e lo scrivo.